Biancaneve Maxi

 Dottore, ho un incubo ricorrente, e non parlo di quelli da film dell’orrore, ma di una roba che ti sfigura il sonno. La notte, i sette nani si materializzano nei miei sogni, vestiti di rosso, con cappelli gialli che sembrano più ridicoli che mai. Avanzano in fila indiana, come un gruppo di sherpa che trasportano fardelli impossibili, solo che invece di sacchi di riso, hanno vassoi di Big Mac fumanti sulla testa. Un pranzo da principi, certo, ma io mi sento un sudicio pezzente in mezzo a paggi e damigelle, pistoleri e neolaureati che si credono chissà chi.

Poi arriva Eolo, con la sua manona che mi afferra dal basso. “Fermati”, sembra dire, mentre il suo alito mi soffoca. Mi costringe a spendere un euro in più per baciarmi con la Biancaneve Maxi. E lì, dottore, in quel momento, la mia vita sembra ridursi a un solo euro. Biancaneve Maxi: appare come una regina con i capelli corvini, fasciata in un abito di latex rosso. Sotto il cartellone, i suoi lunghi stivali a punta calpestano la Biancaneve Normal, che sembra un’ombra di ciò che era.

Il suo seno, dottore, è un’arma di distruzione di massa, sette misure più grande delle altre, e la sua bocca… oh, la bocca! Luccica come un gommone in balia delle onde, pronta a traghettare chiunque creda di poterla conquistare. Mi sento un pesce fuor d’acqua, mentre un euro in più sembra l’unico modo per entrare in quel mondo.

E lo dico a lei, “Dottore, un euro in più, e potremo amare Biancaneve Maxi mentre i nani fanno i pagliacci, intessendo ghirlande di plastica da infilare nei MacMenu”. E c’è anche una vaschetta di vaselina, che altrimenti sarebbe a parte, perché in questo mondo tutto ha un costo.

Brontolo è il re del mese, e la sua foto mi fissa dal bancone frigo dove dorme la Biancaneve Maxi. Ogni volta che passo, mi sussurra una canzone che non capisco, ma il ritornello è chiaro: “coglione”. Vado al bagno, e mi rifletto in uno specchio sporco, un’immagine di me stesso che non riconosco. Un naso rosso, occhi cerchiati, un cappello giallo, e accanto a me, Roland MacDonald si lava i denti. In quel momento, per un attimo, mi piaccio.

“Sei il primo cliente del nuovo giorno fiscale,” dice, e mi strizza l’occhio. Mi regala una apple pie fatata, ma io pago. Sempre.

Sogno ancora, dottore, sogno che un bambino mi tocca con una cannuccia, trasformandomi in cocci di vetro e legno. I sette nani si affaccendano, raccolgono ciò che rimane di me e mi vestono di azzurro, pronto per un nuovo atto. “Arriva il principe”, gridano, e Biancaneve Maxi si risveglia, abbandonando il suo sonno di ghiaccio.

È imponente, la Biancaneve Maxi. Non è solo un’immagine sul maxischermo, è un’illusione che si materializza. Prende il taglierino e squarta il mio cartone. I nani esultano, e mentre mi monta, non è come avrei voluto. È una danza strana, ridicola, seguendo istruzioni di una pergamena lurida. Mi sento come un Pinocchio IKEA, con la mia casacca azzurra e un cazzo di naso da trenta centimetri.

Biancaneve Maxi mi fruga nelle tasche, non trova lo scontrino per le sue tette enormi, e mi guarda schifata. “Alla prossima,” sembra dire, mentre sparisce nella sua bara di plastica. I nani continuano a svuotare vassoi e a lavare per terra. Cucciolo mi urta con la ramazza, e io, gigante di argilla, cado al suolo.

Sono solo un uomo, dottore, un uomo che ha pestato una merda e ora cerca di farla franca in un mondo che non lo vuole.

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