Culi Bianchi vs Culi Neri 1-0

 Massiccio, in quella gabbia verde,

guizzavi come una scimmia da laboratorio,
pantaloncini avvolti nelle mutande,
culotte di raso e calcetto.
Quelle gambe, due o tre tronchi pelosi,
lampi di piteco quando sbattevi
sulla rete di protezione,
saturando l’aria di bestemmie
e aerosol sudato dal tricipite smanicato.

Nascosti da ciuffi riccioli e gadgets colorati,
le supporters baffute, ragazze con i ponpon,
lanciavano tampax dalle balestre
fatte con gli elastici delle loro mutande nuove,
dardi d’amore rubati a quel Cupido
vagante, ubriaco e turgido,
in groppa a un somaro sulle praterie
delle nostre schiene pelose.

Pareggiammo quella notte,
culi bianchi contro culii neri,
uno a uno,
ma vinse l’amore.
Purtroppo non bastò.

Da quando inventarono il Vidal,
la saponetta non la raccogli più.
In compenso abbiamo una pigna
su cui fare esercizi di karaoke
sotto la pioggia affollata.
Ballano i pupazzi del calcio balilla,
uniti da un’unica turgida sbarra,
lap dance rubata alle
Folies Bergère, in questa notte
che trapana il nostro intimo
come la spezia di un ristorante indiano.

Ho paura di farmi tutte quelle scale mobili da solo,
mi dicesti prima di lanciarti nell’ignoto,
tunnel macinatore di anime e passi
senza ritorno.
Si può essere un frutto a doppio gusto,
una specie di marionetta,
calzata come un guanto sul suo pugno chiuso,
clandestino sull’isola di Robinson Crusoe,
alla mercé di venerdì, schiavo
islamico e crudele,
che tra un’avventura e l’altra,
con quel sorriso da cannibale,
cercava la pietra filosofale
nel buio della tua metropolitana personale.

Ogni dente un bianco menhir
in quel muto ghigno tribale,
secondo uomo in un eden,
prima che Eva uscisse dal forno degli dèi
come una inutile, capricciosa torta indigesta.

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