Il signor Dodoni è un bestione grosso come una vecchia Cinquecento, quelle che sputacchiano fumo e si lamentano ai semafori. Solo che al posto delle ruote ha due gambe pelose, i fanali sono due occhi rotondi e umidi, e le chiappe… be’, le sue chiappe sono due roulotte gonfie e barcollanti che la Cinquecento si trascina dietro come niente fosse. Ci pensi, e sembra di vederla questa scena sgangherata. Non male per un tipo come lui, che vive di gelati e bestemmie.
Dodoni è un uomo semplice, se semplice vuol dire avere un bastoncino appuntito al posto del cuore, piantato lì nel suo torace come un cono gelato – senza gelato, s’intende – rugoso e secco come le mani di un vecchio. Non è poesia, è il risultato di anni a sfornare (anzi, congelare) le sue creazioni: i gelati Dodoni. Sì, perché il gelato è la sua battaglia personale, il suo modo di dire al mondo “vaffanculo” a suon di cucchiaiate ghiacciate.
Lui non si accontenta di roba banale. Nel suo laboratorio, il signor Dodoni ci infila di tutto: gomma da masticare, vinavil, resti di cibo, pastiglie falqui sbriciolate, colla di pesce e farina animale. Non importa da dove vengano: se avanza, si mette dentro. Una volta portata allo zero assoluto, questa mistura diventa un gelato che sembra una minaccia. Al gusto ci sono più opzioni che in una farmacia di provincia, e tutte ricordano le Zigulì, quelle caramelle che i bambini mangiano pensando di essere fortunati finché non iniziano a grattarsi.
Dicono che questo gelato faccia miracoli. E in effetti, è vero. Ti rimette al mondo, sì, ma solo dopo averlo ribaltato come una casa abbandonata durante uno sfratto. Mangialo e per qualche ora sei un Dio: niente dolore, niente pensieri, niente di niente. Poi, però, c’è il rovescio della medaglia: una tazza del cesso intasata e una Disneyland barocca che si forma nel sottosuolo, dove la tua merda diventa una città di meraviglie.
E Dodoni lo sa. Se ne frega. Non serve ai tavoli, non ti coccola, non ti liscia. Ti prendi il gelato e fai tutto da solo. Ci sono tavoli? Sì, ma se ti siedi, te lo mangi in silenzio. Nessuno ti guarda, nessuno ti aiuta. Se soffochi, è colpa tua. Se il gelato ti mette k.o., meglio: vuol dire che non eri degno. Gli inservienti tatuati – facce spente e mani che puzzano di freddo – te lo dicono chiaramente: "Al Tavolo Non Ti Servo". E se non ti va bene, la porta è quella.
Il gelato di Dodoni è un’esperienza estrema. Lo dai a un bambino e smette di rompere per sei mesi. Lo dai a un impotente e gli pianta un palo di gesso che potrebbe reggere un tendone da circo. Ma se ne mangi troppo, ti trasformi: i brufoli diventano grossi come muffins e iniziano a parlare, a chiedere altro gelato, a inseguirti come Pokémon incazzati. È una giostra. È una condanna. È libertà.
Eppure, le persone tornano. Tornano perché il gelato di Dodoni è un’esplosione di sapori, un calcio nello stomaco, una sfida. E perché, anche se non lo ammettono, vogliono vedere fino a che punto può spingerli. Fino a che punto possono spingersi loro.
Il Signor Dodoni ti fulmina con uno sguardo che pare uscito da un film horror di serie B. Non dice niente, ma il suo silenzio pesa più di una lavatrice caricata male in salita. Se osi lasciare il gelato incompleto, i suoi 32 inservienti nullafacenti si limitano a guardarti con disprezzo, mentre un inquietante piteco ti porge un sacchetto biodegradabile per portar via il resto. Perché, ovviamente, "non si spreca niente" è inciso sopra la porta della gelateria, accanto a un cartello che avverte: "Qui non si fanno scontrini". Una forma di protesta contro il sistema fiscale? Chissà.
C’è chi giura di aver visto il signor Dodoni mangiare un suo gelato davanti allo specchio, osservando con attenzione le reazioni del proprio riflesso. Un gesto che, in qualche modo, conferisce ai suoi coni un’aura di mistero e di maledizione, come se ogni gusto fosse intriso di un incantesimo che lui stesso non comprende fino in fondo.
Ma, in fondo, chi osa lamentarsi? I clienti tornano sempre, attratti da quella strana promessa di caos e delizia. Perché, in un mondo di noiosa perfezione e catene di gelaterie anonime, il signor Dodoni rappresenta l'inaspettato: una cinquecento che traina roulotte, un cono senza gelato, un sapore che non dimenticherai mai.
E tu? Hai le palle per affrontare un cono del signor Dodoni? Se sì, fai attenzione: finché non l’hai finito, lui ti tiene d’occhio e a tradimento ti incula.
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