I bambini inutili, con i loro cappottini svolazzanti, sembrano le mosche del mondo. Scappano, corrono, si disperdono urlando, terrorizzati. Quegli acutini da topo risuonano nell'aria, mentre i piccoli, maldestri e con gambettine esili, capitombolano e ritornano sempre al punto, attorno all’Uomo della Monnezza.
Magro e stretto nei suoi pantaloni mimetici, con un ciuffo beffardo color alluminio e un panzone sproporzionato su quel tronco esile, l'uomo ignora i bambini, ride con un dente solo e spazza la monnezza con la sua scopa magica. Ma i bambini inutili si avvicinano. Una spazzata più energica, un movimento brusco dei suoi capelli di amianto, e loro scappano di nuovo, gridando, allontanandosi da quell’essere terrorizzante.
L’Uomo della Monnezza ridacchia, godendosi le beffe che quei mostriciattoli fanno di lui, mentre raccoglie foglie secche e mozziconi. Uno dei bambini, il più inutile di tutti e, paradossalmente, il più coraggioso, si avvicina alle spalle dell'uomo, mentre gli altri stringono un cerchio attorno a lui, svolazzando nei cappottini troppo grandi.
L’uomo finge indifferenza, guardando la punta delle scarpe per non farsi scoprire. Sa che c'è un bambino dietro di lui. Il silenzio calato nella piazza bianca è rotto solo dal fruscio della ramazza.
Con uno scatto, l’Uomo della Monnezza svuota il palettone nel secchio stracolmo, lancia uno sguardo da sotto l'ascella e inquadra il piccolo bastardino a mezzo metro di distanza, fulminandolo con una smorfia cattiva e goduriosa. I bambini inutili gridano come piccoli sciacalli e fuggono lontano, ancora una volta.
Ma l’Uomo della Monnezza sa che torneranno. Continua pazientemente a curare il selciato, con malcelata solerzia, e ridacchia. Senza fermarsi, i bambini inutili invertono la direzione e, nel tempo di una risatina, si avvicinano di nuovo, confidenti e timorosi.
Un silenzio magnetico cala su di loro mentre si avvicinano all’Uomo della Monnezza, intento a armeggiare con un cestino delle immondizie enorme e carico di schifezze. Tirando fuori un saccone di plastica nera, si prepara a riempirlo con i rifiuti. Vedendolo così indaffarato, i bambini gli si stringono intorno, godendo sommessamente; uno di loro, un piccolo selvaggio, tocca un lembo del maglione acrilico dell’uomo, elettrizzandosi con una scarica statica.
I bambini inutili esultano, come indiani sporchi, ignari degli occhi dell’Uomo della Monnezza che si sono trasformati in lampadine rosse, emettendo un ultimo, fortissimo lampeggio prima che il diavolaccio chiuda le palpebre.
Con un movimento fulmineo, l’omaccio si rizza in piedi, con la pancia a bandiera sugli stecchi delle gambe. Gonfiando il saccone nero d’aria, si volta di scatto verso i bambini inutili, puntando il nanerottolo più lontano, quello che si sente più al sicuro. Con un urlo che squarcia il silenzio, l’uomo balza addosso al bambino, intrappolandolo nel sacco nero come una stupida mosca sotto un bicchiere.
Il bambino si dibatte, ma ogni movimento è vano. L’Uomo della Monnezza mostra la sua vera faccia, a metà tra Manfred e Charles Bronson, con denti color pianoforte e baffoni che tracciano il suo volto. Con delicatezza e professionalità, chiude il laccetto del saccone, mentre gli urletti lontani dei bambini inutili risuonano nell’aria.
Attorno all’Uomo della Monnezza c'è il vuoto. Nessun bambino inutile, solo lui e il suo sacco. Il topocane razzola sulla piazza, scombinando il lavoro dell’uomo, mentre i bambini inutili ritornano, silenziosissimi. Si avvicinano, attratti come gocce d’acqua attorno a un lavandino bianco, fingendo di giocare al pallone, ma tenendosi vicini, uniti dalla magia e dalla paura.
La palla rimbalza via e un piteco con i jeans dipinti si china a raccoglierla, inquadrando il suo sederone nel campo visivo del cammarero del bar. Confuso dal doppio tramonto denim, perde il controllo del blocchetto elettronico per le ordinazioni, segnando un sovrapprezzo di 20 euro al cliente svenuto sul tavolino.
I bambini inutili attendono la palla, ma è troppo tardi: l’Uomo della Monnezza la blocca sotto lo scarpone e con una ramazzata da samurai ne stende un altro, mentre gli altri scappano urlando.
Il cammarero si avvicina, guarda silente il predone mimetico, che con un lieve calcio gli passa la palla. Il cammarero la ferma col piede, si china a raccoglierla, poi estrae un coltellino dal panciotto di pelle nera e, con la perizia di anni d’esperienza, taglia la palla in due semisfere perfette.
Dispiaciuti ma ipnotizzati, i bambini inutili si avvicinano ancora una volta. I due complici si calano ognuno una metà del pallone sulla testa, ispirando simpatia e reverenza. Ridono tra loro, scherzando sommessamente.
Con un fuoco di sguardi complici, il cammarero e l’Uomo della Monnezza si posizionano schiena contro schiena e, con un movimento sincrono, fanno scontrare i loro ridicoli cappellini. Sembrano perdersi con lo sguardo nell’orizzonte, ma quando il primo bambino inutile è a tiro, il cammarero gli ammolla una volée di vassoio sul capoccione grasso, in un colpo rovesciato, ma efficace.
In un attimo volano mazzate come coriandoli a Rio de Janeiro. Tra le botte secche di ramazza e i rimbombanti gong del vassoio, la piazza si riempie di un ritmato tripudio di sonorità, grida di dolore e lamenti, come a un concerto dei Pooh.
I bambini inutili smaltiscono le loro malefatte: le abboffate a colazione, i capricci con la mamma, i troppi giocattoli, i dispetti. Anche il topocane partecipa a questa festa punitiva, portandosi via una vassoiata sul groppone e una ramazzata sulle zampe corte.
Un cliente del bar, simile a Silvio Pelvico con la barba di cemento, fa per dire qualcosa, ma il cammarero tocca il blocchetto elettronico e gli affibbia altri 20 euro di penalità. Silvio Pelvico si siede in silenzio, ridotto all’impotenza come un Muzio Scevola senza braccia.
Intorno è come una notte stellata di mazzate. Il cammarero e l’Uomo della Monnezza lentamente si incamminano verso un’altra avventura. I bambini inutili vorrebbero raccontare alla mamma la loro avventura, ma hanno la coscienza sporca e temono di prendere altre mazzate.
Uno di loro raccoglie il mezzo pallone lasciato dall’Uomo della Monnezza, se lo mette in testa e inizia a correre per la piazza bianca, seguito dagli altri bambini inutili, che svolazzano nei loro cappottini.
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