Amore mio,
potremmo tingerci di blu, arancione, bianco, rosso, e trasformarci in mobili Ikea, diventando, per un momento, parte di quel mondo che ogni giorno si erige attorno a noi, per poi sgretolarsi e rompersi senza appello. Fingendo di essere oggetti, ci perderemmo nel nostro stesso travestimento, abbandonandoci all’apparenza di cose che non sono mai destinate a durare.
Un giorno, gireremmo un video, ma non un video come gli altri. No, questo video sarebbe la nostra confessione, la nostra disperazione, mentre noi, giovani mobili Ikea dai nomi stridenti e esotici come Iggrisk e Dalsev, ci lamenteremmo del nostro destino. I nostri legni si fessurerebbero, e scivoleremmo lentamente verso il declino. La gente ci ignorerebbe, maledicendoci più che seguendo le istruzioni, quelle istruzioni che non servono mai, che non sistemano mai niente, che ci rivelano come inutili.
Morkedal, il letto Ikea, messo a nudo, con la sua schiena ormai rotta e frantumata, piangerebbe in silenzio, lamentandosi del fatto che, per lui, non è mai accaduto nulla di compiuto, nulla di realmente finito. Sempre lì, sempre sospeso in quel momento senza fine, senza mai arrivare al termine. Il suo padrone, distratto dal cigolio delle sue doghe, non riesce mai a portare a termine un atto d’amore. Vilsaden, il cuscino sgonfio, con un cuore ormai rassegnato, tossirebbe stancamente, esausto dal peso che gli è stato imposto. Schiacciato dal corpo di una padrona che lo maltratta senza alcuna pietà, che lo sotterra sotto il peso dei suoi pensieri lontani, dei suoi programmi televisivi che inghiottono tutto, persino la sua stessa dignità.
E tu ed io, in questo travestimento, colorati e sbrecciati, sospesi in un tempo che non ci appartiene, aspetteremmo invano una martellata, una vite che ci rimetterebbe in ordine, come nei primi giorni, quando eravamo ancora freschi di scatola, pronti a incastrarci perfettamente, a realizzare finalmente il nostro destino. Ma ora, sappiamo che quel momento è scomparso, e con esso, la nostra interezza.
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