Tintoria Mariuccia

 Sono qui, in questa vecchia tintoria, circondata da vestiti stropicciati e odori di detersivo e sudore. Aspetto. Aspetto il prossimo, il prossimo sventurato da piegare alle necessità della mia lavanderia. Tintoria Mariuccia, il nome su una targa arrugginita, ma la mia vita è ben lontana dall'essere arrugginita.

Mi servono braccia forti, corpi tozzi come cuscini di piombo, maschi con quel pizzico di follia, come tartufi in un bosco di neuroni spezzati. Scimmieschi, sì. Pitechi di mezza età che si affannano nella corsa verso l'evoluzione, ma che non hanno mai capito che la vita è una sequela di lavaggi e centrifughe.

Ho visto passare i decenni, ne ho avuti settanta e più, ma il tempo sembra avermi risparmiata, o forse sono solo io che ho imparato a ignorarlo. Ho stirato anche per Manzoni, quell'uomo vestito di nero che puzzava come un cadavere appena scartato. Un pomeriggio mi scoprì, o forse era solo una zanzara, ma quel giorno mi sono sentita immortale. Ho visto i miei amori, i miei schiavi, consumarsi come camicie nel ciclo di lavaggio. Mauro, Marcello, Michele… tutti con nomi che iniziano per M, così non devo cambiare l’insegna. Una doppia M, come un marchio infame, su sfondo bianco, che dice “benvenuti nel mio inferno”.

La mia tintoria non è solo un lavoro; è un modo di vivere. Non ho tempo per il fisco, non ho tempo per il governo. La mia vita è un affare privato, un contratto con la mia libertà. Se dovessi pagare le tasse, saremmo freschi. L'ultima volta che ho fatto uno scontrino era per Leonardo da Vinci, quando passò per Milano. Un bell'uomo, barbuto, ma puzzava come un pesce marcio.

I miei lavoranti muoiono, ma mi sono abituata. Matteo, il primo, si spense sull’asse da stiro. Era buono, non dovevo nemmeno incatenarlo. Ora lo uso come manichino, misura 46, puzza ma è un compagno silenzioso. A Natale lo addobbo e lo metto sotto l’albero. Gli altri? Meuccio e Michele? Be’, ci ho fatto sapone, e la mia lavanderia prospera. Anche se ogni tanto qualche cliente si lamenta di un molare ritrovato. Ma tornano sempre, perché una camicia bianca ha il suo fascino, anche con un dente in tasca.

Nonostante l'età, sono ancora piacente. Se non ci credete, venite a bere la mia tisana, quella della macchinetta. Cambia la prospettiva, fa vedere ciò che c’è dentro. E dentro di me c’è solo vuoto, ma foderato di pelliccia di cane. Ogni estate, chiudo la baracca e parto per Lampedusa. Un esilio volontario, un viaggio di speranza e disperazione. Offro tisane ai profughi, ma solo a chi ha due euro da spendere.

E lì, sulla spiaggia, accendo il generatore e il mio logo "oggi provini" inizia a brillare nel buio. Attira barche come mosche al miele, disperati che sognano la fama, il bunga-bunga, il sogno italiano. Un giorno, un piteco peloso come Mustafà arriva sulla riva. Può puzzare di alga e spogliatoio, ma promette bene. Gli offro una tisana e lo carico nel sacco della lavanderia dell’hotel.

Una volta a Milano, inizia il "trattamento". Gli do una tisana al calor bianco, lo metto a pancia sotto, e mi fumo il suo corpo come una gigantesca pipa. La vita è un circo, e io sono la direttrice. Gli faccio girare nella centrifuga gigante, mentre i miei assistenti armati di battipanni si divertono. Scintille volano, e tra le risate e le botte, lo piego al mio volere.

E infine, lo stiro a vapore, come una cravatta. Deve sapere che qui non c’è spazio per il Natale, solo per il lavoro duro e le macchine che girano.


La vostra Mariuccia, la regina di questa follia.

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